il carbone sotto la pelle

Installazione site specific, performance, video

Barbarano, Puglia, 2003

Il carbone sotto la pelle è un intervento pubblico a modalità partecipativa che Mocellin e Pellegrini hanno sviluppato sul territorio collaborando con una comunità di ex minatori e le loro famiglie, in un piccolo paese del Salento.

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La Puglia, all’epoca prima tappa europea per molti immigrati clandestini, è stata per molto tempo terra di emigrazione. In un passato relativamente recente molti uomini e donne hanno dovuto lasciare la loro casa, la loro famiglia e la loro terra per cercare un lavoro in paesi lontani.

L’intenzione di questo progetto e’ quella di tracciare una sorta di memoria sommersa del nostro paese, narrando le storie di alcuni di questi migranti, per riflettere anche sulla situazione attuale.

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La funzione originaria dell’ipogeo di Leuca Piccola, luogo che ha ospitato una parte del progetto, era quella di ospitare i pellegrini in viaggio verso il santuario di Santa Maria di Leuca. Gli artisti hanno quindi lavorato attorno all’idea di ospitalità legata al tema del viaggio e arrivo in una terra straniera.

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Il progetto, una sorta di percorso sotterraneo lungo l’ipogeo e nella cappella di  Leuca Piccola comprende tre installazioni sonore, una video-installazione e una performance. Materia prima di questo percorso sonoro è il racconto della storia di Lucio Parrotto, ex minatore che ha passato 30 anni a lavorare in miniera in Belgio e di sua moglie Angela Sozzi.

Per il periodo di durata della mostra l’ipogeo e’ rimasto buio, ad eccezione di alcune lanterne ad olio fornite ai visitatori per illuminare il proprio percorso, così che l’esperienza della visita all’ipogeo diventasse metafora, non solo del lavoro in miniera, ma anche di viaggio verso una destinazione sconosciuta.

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La prima installazione del cammino sotterraneo consiste nella registrazione dei nomi e delle date di nascita di tutti i minatori di Barbarano e Morciano emigrati in Belgio. Le voci che elencano questi nomi sono voci di donne appartenenti all’associazione culturale La Sciuscitta, impegnata da anni nella conservazione della memoria locale.

Il percorso continua poi con il doppio racconto della vita di Angela e Lucio, snodato lungo il corridoio che porta all’ultima stanza, nella quale una video-installazione, sempre legata alla vita dei coniugi Sozzi Parrotto, conclude questa sorta di viaggio nel tempo e nelle viscere della terra. Il pubblico viene qui invitato ad ascoltare la fine della storia guardando un video proiettato in un pozzo che raffigura dei piedi nudi che scendono un’infinita scala a chiocciola. Le due storie parallele sono narrate, mantenendo il tono intimo e personale del racconto originale, dalle voci degli artisti, che in questo modo funzionano come una sorta di eco.

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Performance La canzone del minatore

Il giorno dell’inaugurazione gli artisti si sono uniti al coro dell’associazione culturale La Sciuscitta, per cantare La canzone del minatore scritta da Francesco Villani, uno degli ex minatori di Barbarano, durante una convalescenza a seguito di un incidente in miniera in Belgio. Durante il periodo d’apertura della mostra, la registrazione della canzone viene trasmessa, ad intervalli regolari, dalla stanza delle campane, sopra alla cappella di Leuca Piccola.

Il carbone sotto la pelle fa parte di una serie di progetti basati su una riflessione sui rapporti interpersonali dove il lavoro assume la forma di una narrazione multipla, in cui il racconto degli stessi eventi è narrato da due o più punti di vista.

Questo progetto nasce dal desiderio degli artisti di raccontare la storia di qualcun altro attraverso le proprie voci, corpi e sguardi, e di cedere a questo qualcuno parte del controllo sulla loro produzione artistica. L’intenzione è quella di creare attraverso la condivisione, un’area di scambio legata alla sfera dell’emotività in cui arte e narrazione possano essere considerate come reciproci doni.

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Tirana Biennale

Nel settembre 2003  Il carbone sotto la pelle assume una nuova forma per essere esposto alla Biennale di Tirana.

Presentando il lavoro in Albania, terra di origine di molti migranti giunti in Italia negli ultimi decenni, Mocellin e Pellegrini, raccontano al pubblico albanese un’Italia diversa da quella attuale e in un certo senso più simile al loro paese. Il lavoro assume così una nuova dimensione, che attraverso un gioco di riflessi, lo arricchisce di nuovi significati e chiavi di lettura.

Il risultato di questo ribaltamento è un video completamente nero,  i cui unici segni visibili consistono nei sottotitoli che traducono il racconto in inglese.  Se i sottotitoli ricordano graficamente il linguaggio cinematografico, lo schermo nero, benché ricordi il buio della miniera, crea un lavoro fortemente iconoclasta, in cui spetta al visitatore costruire mentalmente le immagini che compongono il racconto.

Il video è installato alla fine di un percorso sonoro che racconta la storia di Angela e Lucio, ma viene qui proiettato dietro ad una parete di sbarre in una cella sotterranea nella Galleria d’Arte Moderna.  Il pubblico percepisce quindi la costrizione fisica tipica del lavoro in miniera, ma anche la condizione esistenziale della vita del migrante.

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